La disoccupazione è un problema comune a tutti i paesi occidentali sviluppati. E' la conseguenza di una incapacità diffusa in tutti i governi oppure ci sono delle cause strutturali?
Fino al 1974 il tasso di disoccupazione nei paesi della UE, si attestava in media intorno al 3%. Poi, nel giro di dieci anni, salì di dieci punti percentuali. Cosa accadde? Qualcosa di molto positivo: l'emancipazione femminile e l'informatizzazione. Le donne dagli inizi degli anni settanta entrarono massivamente nel mondo del lavoro. Questo produsse una grande crescita qualitativa della società italiana: nuove idee, innovazione, entusiasmo, produttività. Purtroppo, nonostante il sistema produttivo ed economico crebbe notevolmente grazie alle donne, l'offerta di lavoro da quel punto in poi non riuscì più a coprire la domanda, determinando una forte crescita del tasso di disoccupazione.
Ora, siccome la bacchetta magica non esiste, per tornare ad equilibrare domanda ed offerta di lavoro è necessario ridurre l'orario di lavoro. Con 6 ore lavorative giornaliere si giungerebbe all'occupazione piena, all'abbattimento del lavoro nero e ad un netto miglioramento della qualità della vita per tutti. In ogni famiglia sarebbero assicurati due stipendi, non si dovrebbe più pagare la balia o la domestica per accudire figli ed anziani, si avrebbe molto più tempo libero per studiare, perfezionarsi, prendere una laurea o una seconda laurea, eventualmente procacciarsi un secondo lavoro e, volendo, costruirsi un'attività autonoma. Con l'occupazione piena ci sarebbe una reale flessibilità delle occupazioni e crescerebbe la probabilità per ognuno di trovare un lavoro congruente con le proprie aspirazioni e la preparazione scolastica. Inoltre, ci sarebbe un reale miglioramento della qualità della vita: più tempo da dedicare ai rapporti sociali, alla cultura, ai figli, alla famiglia. Insomma, una vita migliore. Le aziende, oltre a non avere oneri maggiori, avrebbero un guadagno in termini di produttività e di flessibilità. Tutte le statistiche mostrano come le ultime due ore di lavoro siano molto meno produttive rispetto alle prime della giornata e poi con un numero superiore di dipendenti potrebbero affrontare meglio le eventuali fluttuazioni stagionali delle commesse di lavoro.
Nella storia la riduzione dell'orario di lavoro fu già attuata nell'epoca post-industriale per far fronte al calo di occupazione conseguente all'introduzione della meccanizzazione nelle fabbriche. Oggi siamo in una situazione analoga: l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha determinato una asimmetria tra domanda ed offerta di lavoro che è necessario risolvere. E lo si può fare con una ulteriore riduzione dell'orario di lavoro, resa ancora più urgente e necessaria dalla profonda crisi occupazionale conseguente alla grave crisi economica che stiamo attraversando.
Ma c'è un grosso problema che spiega l'inerzia dei governi su questa soluzione: il potere teme l'azzeramento della disoccupazione. Come raccolgono voti i politici in campagna elettorale? Come comprano i cittadini? Con le raccomandazioni e la promessa del posto di lavoro. La disoccupazione è, dunque, funzionale al potere per conservare se stesso. Con più tempo libero i cittadini avrebbero, inoltre, tempo e modo per accrescere la propria cultura, informarsi e tenersi aggiornati sugli eventi della politica, fino ad arrivare.. a comprenderli. E' evidente, quindi, che la politica non solleciterà mai una riduzione dell'orario di lavoro.
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